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Cultura: l'urlo degli uomini in faccia al loro destino (A. Camus)

Elsa Morante_RUBRICA_Letteratura Italiana Femminile

Elsa Morante_RUBRICA_Letteratura Italiana Femminile

––– Di Marta Carboni

La Biblioteca Nazionale Centrale di Roma conserva lettere, manoscritti e pagine di diario di una delle più grandi autrici del Novecento, Elsa Morante.

Non era solo la moglie di Alberto Moravia, ma un talento precocissimo. All’età di soli quattro anni scriveva e illustrava libriccini di suo pugno. Storie di bambine che scoprono tristemente di non essere le vere figlie dei loro genitori, storie profetiche, quindi.

L’autrice, infatti, scoprirà all’età di quindici anni di non essere la figlia biologica di Augusto Morante, ma di suo padrino, lo Zio Ciccio, al quale dedicherà una poesia.

All’età di diciotto anni va a vivere da sola, dà lezioni private di latino e rifiuta una cattedra vera e propria per non abbandonare Roma, la sua città, il suo terreno della lotta. Voleva essere notata, Elsa, combattere per essere letta, capita, apprezzata, diventare qualcuno.

Non ho nessun lavoro, nessun mezzo, nessuno! – scrive alla sua amica Luisa – le mie speranze sono lontane e incerte.

Grazie a un suo amico pittore conoscerà Alberto Moravia, suo marito, nonché la sua più travagliata e tormentata storia d’amore, venticinque anni insieme, fino alla separazione. I loro anni più felici furono quelli in fuga, da Roma, dal fascismo, da quelle leggi sul “problema della razza”. Lei ebrea da parte di madre, lui ebreo da parte di padre.

Nei primissimi tempi, agli albori della loro relazione, Elsa parla con sé stessa. Si confida nelle sue lettere. Leggiamo già di Alberto, che lei abbreviava in A, leggiamo dei suoi sogni, dei sui incubi e dei suoi turbamenti. È spaventata dalla sua povertà, a disagio davanti alla ricchezza e alla notorietà del suo compagno. Lei è una qualunque, e teme che sarà solo e per sempre sua moglie.

Così nascono, dalle sue lettere e dai suoi viaggi interiori, romanzi come Menzogne e Sortilegio e ancora L’Isola di Arturo. Il primo mette a nudo l’ipocrisia del suo tempo, la piccola borghesia, l’incoerenza dei più ricchi, le menzogne, insomma. La vita, d’altra parte, è descritta anche come un sortilegio che ci incanta tutti. Il suo primo debutto editoriale le valse niente meno che il Premio Viareggio del 1948.

Il secondo romanzo fu ugualmente un successo che la riconfermò come grande scrittrice.

Arturo, il protagonista, vive in un’isola a lei carissima, “la più bella che abbia mai visto”, Procida. Qui nasce, cresce e vede tutto per la prima volta. Scopre l’adolescenza, il sesso, i segreti della sua famiglia, la crudeltà umana, su uno sfondo, si è detto, quasi surreale e fiabesco. Ancora una volta la sua storia spacca e separa il Reale dal Surreale. Eppure Elsa corregge la critica e precisa chiaramente:

L’Isola di Arturo è quanto di più reale sia stato mai scritto negli ultimi tempi”.
Questo romanzo le assicura il Premio Strega, la prima donna a vincerlo.

Fra gli amori della Morante c’è il suo amico Pasolini. Quando i due si conobbero, nel 1961, lui era già uno scrittore affermato, misterioso e controverso, che tendeva all’assoluto, come Elsa, d’altronde. Morante, Moravia e Pasolini erano sempre insieme, ma la relazione fra il poeta e la scrittrice era diversa, era speciale. Erano un duo. Sempre insieme compirono un viaggio in India, conobbero Maria Teresa di Calcutta, vollero salvare un uomo dalla sua povertà. L’uno ispirava l’altra e l’altra organizzava le colonne sonore dei suoi film, come quella di Accattone. Si stimavano immensamente. Finché Pasolini, accecato dalla fama, dai soldi, dal successo, dai farisei, non cambiò definitivamente.

L’ideologia della Morante, coerente, salda, in difesa dei più deboli e degli ultimi era in netto contrasto con quella del grande poeta. Si evince in un romanzo, Il Mondo salvato dai ragazzini, che riassume un’importante e delicata fase della scrittrice, buia, dovuta alla rottura con suo marito, all’incrinarsi dei rapporti con Pasolini, e al lutto, alla morte di un suo caro amico pittore, il newyorkese Bill Morrow.

Partecipò, in quegli anni, attivamente alla vita politica, tenne un importante discorso pubblico “Pro o Contro la bomba atomica”. Radicalissima, determinata, seguace dei movimenti di quei giovani che chiamò F.P, i Felici Pochi, contraria alle idee di coloro che invece definì I.M, Infelici molti.

Infine, arrivò La Storia, a stupire gli italiani e l’Europa. Fu il suo capolavoro, un’opera senza tempo, dura, autentica, ben scritta, semplice perché arrivasse e continui ad arrivare a chiunque. Ambientato negli anni della Seconda Guerra Mondiale, è un racconto di fragili, schiacciati dalle ingiustizie.
La protagonista, Ida Ramondo, è una giovane madre violentata da un soldato tedesco.

La copertina scandalosa della prima edizione di Einaudi di “La Storia”.

La Morante chiede, anzi impone, all’Einaudi un’immagine di copertina durissima raffigurante un bambino morto sule macerie e un sottotitolo: Uno scandalo che dura da diecimila anni.

Fu un successo, in effetti, scandaloso, esaltato da tutti, godette di uno straordinario passa parola soltanto dal quale la scrittrice riuscì a vendere 650.000 copie.

La critica di Pasolini, del suo carissimo vecchio amico, segnò la fine reale del loro rapporto: è una storia che le è riuscita solo in parte, scrisse.

Il 2 novembre 1975, il corpo di Pasolini viene trovato senza vita all’Idroscalo di Ostia, venne assassinato. La Morante non appare in nessuna fotografia dell’epoca, ma c’è chi la ricorda disperata vicino al feretro nella camera ardente. A lui dedicò una poesia, rimasta inedita per molti anni.

Quando la sua epoca non le piacque più, segnata da catastrofi, lotte, guerre, lutti troppo pesanti da sopportare, Elsa Morante scrisse la sua ultima opera, Araceli, nel 1982 e poco dopò tentò il suicidio.
Si ammalò gravemente di distrofia cerebrale e venne ricoverata in una clinica dove, poco dopo morì di infarto. Era il 25 novembre 1985, poco prima delle riprese del film diretto da Luigi Comencini, La Storia.

In foto, Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini.

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